domenica 11 novembre 2018

Concorso "Proviamo insieme?" La classifica finale

Il trio "ANTENORE" vincitore del concorso


Una finale tra Ensemble  di altissimo livello





Sei mesi fa abbiamo lanciato l'idea un po' folle, o tale ci appariva in quel momento, di portare in provincia un concorso musicale di alta qualità per sostenere i giovani musicisti desiderosi di approfondire la propria formazione. 
Abbiamo partecipato a bandi indetti da illustri fondazioni bancarie, dai comuni, siamo andati alla ricerca di mecenati e di sponsor. 
Alla fine qualcuno ci ha risposto, anche se purtroppo abbiamo dovuto ridimensionare il progetto iniziale molto ambizioso: Aspiag-Service (Despar, Eurospar e Interspar) e soprattutto la Fondazione Musicale Omizzolo-Peruzzi benemerita associazione padovana (vedi riquadro in fondo) che ha messo a disposizione i fondi per le borse di studio.
Non sono mancati gli incoraggiamenti morali e materiali di Pierluigi Vergati, di Carmelo Gaudino della ditta Castellan Pianoforti, della Pasticceria Paccagnella, del bravo tecnico Mario di PCApposto, della tipografia Turato, che ha curato la grafica e la stampa della pubblicità cartacea.
Indispensabili si sono rivelati i consigli del prof.  Vitale Fano, direttore artistico della Fondazione e della prof.ssa Cecilia Franchini del Conservatorio di Venezia, la collaborazione di Alessia Toffanin e di Alessandro Fagiuoli per la messa a punto della commissione di esperti. 
Non sono mancati sino all'ultimo momento i timori per il rischio di mancate iscrizioni, ma i risultati, alla fine, sono stati superiori ad ogni aspettativa.
Sabato scorso, infatti, si sono presentati alla commissione quattro gruppi di alta se non altissima qualità, che hanno reso complicato stilare la graduatoria, fatta eccezione per il primo posto. Ecco comunque i risultati.
  • Primo classificato "Trio Antenore" con punti 96/100, con Davide Scarabottolo al piano, Tommaso Scimemi al violino e Pietro Scimemi al violoncello.  
  • Secondi ex-aequo "Quintetto Fuori Luogo" e "Trio Kijama" con punti 86/100.
  • Terzo classificato "Quartetto Aura" con punti 82/100.

La commissione era composta da:
  • Stefano Antonello, docente di violino presso il Conservatorio "A. Pedrollo" di Vicenza e concertista.
  • Alessandro Fagiuoli, docente di violino presso il liceo musicale “C. Marchesi” di Padova e concertista.
  • Carlos Gubert, pianista, direttore d'orchestra.
  • Giacomo Miglioranzi, docente di pianoforte presso il liceo musicale “M. Polo” di Venezia e concertista.
  • Vincenzo Paci, primo clarinetto dell'Orchestra del Teatro La Fenice (assente per un incidente).


La Fondazione Musicale Omizzolo Peruzzi nasce nel 2012 per volontà dei soci fondatori Elio Peruzzi ed Enrica Omizzolo, come naturale prosecuzione dell'attività del Centro Culturale Musicale "Silvio Omizzolo", nato nel 1997 per mantenere vivo il ricordo del Maestro Silvio Omizzolo promuovendo iniziative culturali e musicali: rassegne, concerti, mostre, conferenze, pubblicazioni di cd, festival, concorsi. Gli eventi realizzati in questo periodo hanno raggiunto il duplice risultato di portare a Padova e a Venezia concertisti di altissimo livello e di far conoscere la musica di Omizzolo alle figure più importanti del concertismo internazionale.




sabato 3 novembre 2018

Concorso "Proviamo insieme?" - Audizioni




AUDIZIONI CONCORSO "PROVIAMO INSIEME?"


Le audizioni si svolgeranno il giorno 10 Novembre 2018 presso l'Auditorium dell'Assunta, via Palù 2 - Rubano.
L'orario delle prove e delle singole audizioni è comunicato ai concorrenti via mail.




sabato 8 settembre 2018

Insieme a Giada




DANCE into the LIGHT






L'Associazione " Insieme a Giada"è impegnata a ricordare Giada Rebellato, scomparsa a soli 23 anni nel giugno 2014 per una leucemia.
Per questo organizza dal 2015 eventi e raccolte fondi da destinare all'educazione e alle attività giovanili. 
In particolare, per il quarto anno consecutivo, l'Associazione ha organizzato un grande concerto-memorial dal titolo " Dance into the Light", che avrà luogo sabato 15 settembre alle ore 21.15 presso il Teatro Ai Colli - Via Monte Lozzo 16, Padova.
" Dance into the Light" vuole essere soprattutto una festa, perché ricordare non sia solo nostalgia e rimpianto, ma soprattutto un’occasione per celebrare Giada ed i bei ricordi che ci ha lasciato grazie ad una visione positiva ed energica e ad un repertorio, italiano e straniero, altrettanto carico di groove ed intenzione.

L'evento è gratuito, e tutte le offerte raccolte durante l'evento saranno destinate alla creazione delle Borse di Studio " Insieme a Giada", volte a premiare i diplomati meritevoli del Liceo Scientifico "G. Galilei" di Caselle di Selvazzano Dentro. 
La scelta dell’istituto non è casuale, poiché proprio lì Giada si è diplomata e ha costruito amicizie e splendidi ricordi con molti dei ragazzi che partecipano a questo memorial.



Per maggiori informazioni:
Pagina Facebook dell'Associazione:  https://www.facebook.com/insiemeagiada/

domenica 6 maggio 2018

2 Agosto 1980, ore 10.25


Il 2 agosto 1980 alle 10.25 esplodeva alla stazione centrale di Bologna un micidiale ordigno che provocò 79 morti e più di 200 feriti. Marina Gamberini, è l’unica ragazza della Cigar sopravvissuta alla bomba di Bologna del 2 agosto 1980, impiegata ventenne di questa azienda di ristorazione della stazione centrale che aveva gli uffici nei pressi della sala d'aspetto della seconda classe, proprio dove era collocato l'esplosivo.
"Tanti anni sono passati, ma c'è una grande sofferenza che non passa - dice Marina - . Una sofferenza ora soprattutto psicologica". "Ho sensi di colpa rispetto alle altre sei colleghe che sono tutte morte, a volte vorrei chiudere questa pagina, scordarmi tutto. Ma se lo facessi sarebbe meglio? Mi dico di no", aggiunge Marina che da anni segue un percorso di terapia psicologica di recupero.
Marina ha avuto un figlio nel '95, un parto difficile e ora che il figlio è più che ventenne, come lei in quel giorno di agosto dice: "Anche per lui mi sento in colpa perché non so come difenderlo".
Per Marina è sempre complicato raccontare, soprattutto ricordare. Sono ricordi che rimbombano dentro. Sono ricordi che non fanno respirare, che allontanano tutto ciò che esiste di razionale. E lo sguardo di Marina rimane sempre basso, verso le sue mani agitate che non finiscono mai di far qualcosa.
Gli occhi di questa donna sono grandi e scuri, ma tristi, velati da quella sofferenza di cui non ci si libera. E così Marina racconta di chi era prima e di come, in quel maledetto giorno, le sia stata rubata la vita.
«Il 2 agosto 1980 mi sentivo invincibile, avevo il mondo in mano ed ero mossa da quelle speranze giovanili, che tutti conosciamo. Guardando quella ragazza con gli occhi di oggi, posso dire che non aveva paura di niente, viveva in un mondo che non bisognava temere, ma scoprire, addentare e lei ne era affamata. Quella Marina aveva vent’anni, non sapeva che sarebbe stata destinata ad averne venti per sempre».
Gamberini racconta che «una parte di me infatti, rimase lì, in quell'ufficio tra la polvere e le macerie, mentre un'altra si salvò».
Marina nella strage di Bologna riuscì a salvarsi per miracolo o per fortuna, forse.
«Le mie colleghe invece, a cui volevo bene come a delle sorelle, morirono tutte. In quel momento mise radice dentro di me, quel senso di colpa che mi divora tutt’oggi, a distanza di 37 anni». È quel sentimento che annienta, accompagnato dalla domanda che si pone continuamente, in silenzio: «Perché io sì e loro no?».
Nonostante tutto ciò Marina ha il coraggio e la forza di testimoniare, di fare memoria. «È necessario che i giovani conoscano realtà come questa per trovare il coraggio di combattere una guerra ancora aperta contro ogni tipo di ingiustizia, armati di quella speranza che deve vivere nel cuore di ogni ventenne».

Marina Gamberini sarà nostra ospite a Padova il 19 maggio, accompagnata da Cinzia Venturoli, storica, ricercatrice presso l’Università di Bologna e collaboratrice dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna. La prof.ssa Venturoli da molti anni lavora in modo specifico sulla storia degli anni Settanta, con uno sguardo rivolto ai movimenti politici, ai terrorismi, alla società e al rapporto fra storia e memoria. Approfondirà la testimonianza di Marina Gamberini, illustrando il clima politico di quegli anni e le complesse vicende processuali legate alla strage. 

martedì 24 aprile 2018

Chi dimentica il passato non ha futuro. Storia e Vita per il 25 Aprile, 2



La lotta partigiana a Padova e nel suo territorio.





Pochi padovani hanno occasione di attraversare via Concetto Marchesi, ma molti di più passano sotto le finestre del liceo omonimo. Tutti andando in ospedale scorgono largo Egidio Meneghetti e se hanno studiato al Selvatico o a Farmacia sanno bene di cosa si parla.   
 Moltissimi  inoltre percorrono quotidianamente la via Sette Martiri, dimentichi dei nomi di chi qui è ricordato; poi si immettono in via Chiesanuova e passano davanti alla ex caserma Romagnoli, ma poco o nulla sanno di padre Placido Cortese. Un po' più avanti e arrivano alla caserma Pierobon, un tempo affollatissima di militari di leva.
Sarebbe interessante sapere quanti ancora collegano i nomi di Marchesi, Meneghetti, Pierobon, di padre Placido e di tanti altri anonimi, ricordati genericamente come martiri, alla loro vita e alle loro imprese. Eppure la città è piena di evidenti riferimenti ad una realtà molto viva che fece di Padova una città della Resistenza.
Ormai solo gli storici sanno dell'insurrezione del 28 aprile 1945: chi cerca di posteggiare in centro, se vuole spendere una fortuna va in piazza Insurrezione, ma quanti leggono per intero la targa? 
E' una memoria che sta svanendo col venire meno  degli uomini che l'hanno resa viva in questi settant'anni. Ma soprattutto il ricordo si sbiadisce col venir meno della cultura e della consapevolezza di un passato che  ha dato forma al nostro presente, che piaccia o no ai nuovi fascistelli o a chi ne svaluta il valore i militare o ne mette in evidenza solo gli eccessi. 
E' vero: i partigiani non liberarono da soli l'Italia come fecero gli iugoslavi con la loro terra. Ma l'importante ruolo dell'esercito anglo americano ben poca cosa sarebbe stato se quella moltitudine di uomini e donne non avessero ridato dignità alla patria.
Le migliaia di nomi e di fatti che hanno reso viva la resistenza nel Padovano sono stati raccolti e ripercorsi da Francesco Feltrin. 

“…. allora nessuno ci aveva chiamato a fare qualcosa ma molti hanno sentito il bisogno di testimoniare con la lotta la loro fede nella libertà” . 

Così si esprimeva Francesco Feltrin visitando una scuola nel 2008.  Questo storico anomalo e talvolta fuori dal coro, che di mestiere faceva altro, ha lasciato una raccolta di scritti, di schede, di appunti, tutti rigorosamente scritti a mano che in vita non ebbe tempo di sistemare; e forse non trovò nessuno nè in campo editoriale, nè politico, nè accademico che lo incentivasse a farlo. 
La figlia Barbara e Annita Maistrello con un certosino lavoro durato sei anni hanno sistemato il lascito e resa possibile la pubblicazione. Lo presenteranno a Rubano il 27 aprile. 
Si tratta di un'opera monumentale in tre tomi, che ha il pregio di ricostruire per la prima volta in modo sistematico tutti gli avvenimenti della Resistenza a Padova e in provincia.
Il lavoro, ben documentato e di ampio respiro, considera tutti gli eventi del periodo resistenziale come un grande affresco che ha come sfondo la città e il suo territorio. Pur nella profondità dell’analisi, non è opera di parte ed è percorsa da profonda onestà e rigore intellettuali: Francesco Feltrin non era uomo animato da spirito partitico, era obiettivo, lontano da ogni schema ideologico.
Il libro, per la sua scrittura comprensibile e per la precisa ricostruzione degli eventi, è da considerarsi un’opera di divulgazione e uno strumento fondamentale di consultazione non solo per gli addetti ai lavori ma anche per quanti vogliono conoscere un drammatico periodo della nostra storia.

  
Francesco Feltrin è nato a Padova nel 1925. 
Giovanissimo ha aderito a Giustizia e Libertà e poi al Partito d’Azione, sciolto il quale è entrato a far parte del Partito Socialista Italiano.
Per molti anni consigliere comunale a Padova, è stato assessore all’Urbanistica dal 22 febbraio 1965 al 11giugno 1974 e alla Cultura dal 13 ottobre 1975 al 13 luglio 1979 e, dal 1980 al 1985, consigliere regionale. A lungo è stato segretario dell’Istituto veneto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea presso l’Università di Padova.
Ha pubblicato: La persecuzione degli ebrei in Italia e nel Veneto in Il Veneto nella Resistenza - Contributo per la storia della lotta di liberazione nel 50° anniversario della Costituzione, a cura dell’ Associazione degli ex consiglieri della Regione Veneto (1997), Nuovi documenti su Silvio Trentin (1999) e con G. Lenci, Padova nella seconda guerra mondiale - memorie monumentali dalla guerra 1940-1943 alla Resistenza (2008).

È morto a Padova nel 2009.

martedì 17 aprile 2018

Chi dimentica il passato non ha futuro. Storia e Vita per il 25 Aprile - 1

Rosangela Pesenti:  le donne dalla Resistenza alla Costituzione e al femminismo. 
Le lotte per i diritti e l'emancipazione femminile.






Quando promuove un evento culturale, all'organizzatore può capitare di trovare una persona che dice cose molto interessanti, ma in modo soporifero; oppure può imbattersi in uno di quegli oratori di cui si sa che "non importa quello che dice, ma come lo dice". 
Esiste, però,  anche una terza possibilità: quella di avvicinare una persona che sa quello che dice, che lo dice bene ed è in grado di affascinare il pubblico. 
E' il caso di Rosangela Pesenti, invitata da Storia e Vita per il settantatreesimo anniversario della Liberazione, con l'intento di non fare della ricorrenza  una celebrazione retorica e fredda, ma un evento arricchente e coinvolgente, com'è nostra  abitudine.  

Scrittrice (scrittora?), poetessa, insegnante, storica, antropologa, conseullor, analista transazionale, brillante conferenziera? Sicuramente tutto questo, ma anche molto altro: Rosangela Pesenti, come a lei stessa piace definirsi, è un'attivista. Un'attivista del movimento femminista, "nata in un angolo della pianura padana, cresciuta dove le donne si incontrano". 
La Pesenti, inoltre, è anche presidente dell'Associazione Nazionale degli Archivi dell'Unione Donne  Italiane, un importante Istituto Culturale di studi e ricerca, che tiene viva l'attenzione "su una parte significativa della storia  delle donne italiane e in particolare della storia politica del nostro Paese, spesso poco conosciuta"

Per i più giovani che poco hanno sentito parlare dell'UDI, ecco in questo link un'utile e sintetica ricostruzione storica, che li porterà anche a comprendere il significato  di una sottile variazione terminologica, che definisce l'organizzazione, tuttora in vita, anche se con presupposti organizzativi molto diversi dal passato,  come Unione delle Donne in Italia. 

L'incontro di Venerdì 20 a Rubano, come avrete ormai compreso, sarà dedicato alla Resistenza al femminile, rivisitata attraverso la figura di una partigiana molto particolare, Velia Sacchi, e proiettata poi nella realtà delle lotte delle donne contro le discriminazioni e la violenza di genere, sino ai nostri giorni.

Mi sembra di sentire già l'usuale commento all'uscita dei nostri incontri, sia di quelli affollatissimi che di quelli poco frequentati: 
"mi dispiace per chi non è venuto.." (P.M.)


Per approfondire: 
Solo ventun donne, elette da quattro partiti, con storie famigliari e politiche diverse, profondamente unite dall’antifascismo, dalla convinzione che la democrazie vive solo se tutte e tutti hanno il diritto di votare ed essere votati, che nel matrimonio i coniugi devono essere pari, che il salario deve essere pari a parità di lavoro, che la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli che “di fatto, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione (…)”, che la sovranità appartiene al popolo, e metà del popolo è donna, che la Repubblica ripudia la guerra. Siamo nate e nati dentro questi principi come in una culla protettiva ma non erano scontati, non erano convinzioni unanimi tra gli uomini della Costituente. Le ventun donne si tenevano per mano quando fu votato l’art. 11. Quelle donne avevano imparato che gli uomini decidono la guerra e le donne devono fare poi il doppio di fatica per conservare la vita, rimuovere le macerie, ricostruire relazioni e sentimentiContinua a leggere


Opere di Rosangela Pesenti:





  
  













martedì 3 aprile 2018

Newsletter n. 2- Aprile 2018

Sommario: 

  • Prosegue la raccolta punti presso l'ALI' di Rubano, pag.1.
  • Storia e Vita per il 25 aprile, pag. 2.
  • Storia e Vita e i testimoni del terrorismo; ultimo appuntamento della stagione 2017/18 il 19 maggio a Padova, pag. 3.
  • Un progetto ambizioso: "Proviamo insieme?" - I testimoni del 2018/19, pag. 4.





lunedì 19 febbraio 2018

Memoria e Ricordo 2018, 3

La terza generazione 






Segue da: L'orgoglio di essere italiani


Concludere la serata dedicata al Ricordo é toccato infine a Micol Silic-Benussi, testimone della terza generazione degli italiani d'Istria.
Ai tempi della sua adolescenza si erano già stemperate le asprezze dei primi anni del dopoguerra, vissuti dai nonni e dai genitori, quando la vita dei "rimasti" era sicuramente più difficile e l'italianità guardata sempre con molta diffidenza.
Micol ha parlato di un'adolescenza vissuta per certi versi in modo simile a quella di un coetaneo italiano che viveva al di qua del confine: le amicizie, le passeggiate sulle "rive" e.. la visita ai parenti esuli in Italia. 
Proprio il racconto di uno di questi viaggi, una partenza organizzata in gran fretta dalla mamma, che l'ha mandata da sola dalla zia e dai cugini di Monfalcone, ha dato a Micol l'occasione di approfondire un aspetto che molti hanno probabilmente dimenticato o comunque al tempo sicuramente sottovalutato.
Il 25 giugno del '91 la Slovenia aveva proclamato l'indipendenza: le forze armate confederali invasero il paese ribelle, per la verità con scarso successo, al punto che dopo un conflitto di 10 giorni, la Slovenia ebbe partita vinta e a seguito del trattato di Brioni del 7 luglio, dopo una moratoria di 3 mesi, iniziò la marcia verso l'indipendenza. Chi ricorda in Italia che in quel periodo le frontiere furono chiuse e che anzi furono oggetto di contesa tra le forze slovene e quelle  confederali? intensi combattimenti si svolsero addirittura a Nova Gorica, praticamente un quartiere di Gorizia..
E chi ricorda che nell'ottobre dello stesso anno ebbe inizio una sanguinosissima guerra tra Croazia e Serbia? chi ricorda il massacro di 1400 civili nella Krajina per mano dell'esercito croato e i 200.000 serbi costretti alla fuga da una vera e propria pulizia etnica? la storia insegna ma non ha scolari, scriveva A. Gramsci!
Ma tornando a Micol, per lunghi mesi restò bloccata presso i parenti italiani, mentre i maschi in età di leva partivano anch'essi verso l'Italia, per non trovarsi a dover combattere con l'esercito Croato. 
Al rientro a casa la sua Rovigno, che ricordava luminosa e allegra, invasa dai turisti, era immersa in un'atmosfera livida e cupa, le rive affollate dai figli dei profughi della guerra. E questi suoi coetanei di lingua croata le dicevano: che ci fai qui? questa è casa nostra! Difficile ribattere che in realtà lei, o meglio la sua famiglia, lì c'era da più di sette secoli!
In queste scaramucce verbali tra ragazzi è racchiuso il senso di tutta una storia di guerre, di passaggi di nazionalità, di intrecci di lingue e tradizioni, di migrazioni volontarie, di esodi forzati, di resistenze coraggiose, di abbattimento e di rinascita.
La storia di Micol si chiude con la proiezione di una foto assai significativa: dieci cugini più o meno coetanei, tutti italiani di Rovigno, con un' ulteriore caratteristica in comune, la migrazione in ogni parte d'Italia e del mondo, un destino che i giovani italiani di Croazia condividono con i coetanei italiani al di qua del confine.
    

giovedì 15 febbraio 2018

Memoria e Ricordo 2018, 2


L'orgoglio di essere italiani






E mentre Oleg Mandic viveva i drammatici mesi ad Auschwitz, mille chilometri più a sud, nel martoriato litorale adriatico, occupato dai nazifascisti, la popolazione si apprestava a vivere un altro drammatico epilogo. Di queste vicende Sergio Basalisco ha fornito una puntuale ricostruzione, nella sua lucida e appassionante relazione, che  si potrebbe definire una vera e propria lectio magistralis.
Della sua relazione si può leggere una versione precedente in questo link. E altre informazioni si possono facilmente reperire all'interno di questo blog.   Ma durante l'incontro di Rubano della settimana scorsa Basalisco è stato particolarmente efficace ed ha pronunciato parole nette e definitive sull'intera vicenda delle foibe e dell'esodo, sottraendole ad ogni giustificazionismo ma anche ad ogni retorica revanscista. Ha ricostruito sì gli orrori della politica fascista  nelle zone acquisite dopo la prima guerra mondiale, ha narrato, citando Boris Pahor, degli ignobili tentativi di sradicamento di una cultura e di una lingua altrettanto preesistenti in quei luoghi come quelle italiane, ma ha chiamato col loro nome anche gli infoibamenti: una rappresaglia vera e propria, in nome di un nazionalismo mai sopito, che voleva giungere sino all'Isonzo, e di un intento dichiaratamente intimidatorio verso gli italiani, prefigurando la loro fuga in massa. 
Ma il punto più alto del suo intervento è stato toccato quando, quasi con un grido sommesso, ha esclamato:  "restituiamo l'onore agli italiani morti nelle foibe: non tutti erano fascisti!"
Dopo di lui Ambretta Medelin, vicepresidente della comunità italiana di Rovigno, attraverso l'appassionata descrizione della vivacità della realtà culturale, sociale e linguistica degli italiani, ha fornito ai presenti una seconda importantissima lezione: l'orgoglio di essere italiani. Qualcosa che chi vive e ha sempre vissuto comodamente al di qua della frontiera troppo spesso colpevolmente dimentica!
Dalle sue parole, sommate a quelle di Sergio Basalisco, traspariva un monito che è ben espresso da quanto la comunità italiana ha pubblicato in occasione del giorno del Ricordo: 
Nel Giorno del Ricordo della tragedia degli Italiani dell'Istria, Fiume, Quarnero e Dalmazia, delle vittime delle foibe e dell’esodo della stragrande maggioranza degli italiani autoctoni da queste terre, esodo che provocò una lacerazione crudele e profonda nel nostro tessuto sociale, costringendo esuli e rimasti ad uno smembramento innaturale e perpetuato nel tempo, la nostra Comunità esprime la propria fraterna vicinanza a tutti gli esuli, alle associazioni che li rappresentano, ed in modo particolare ai Rovignesi e alla “Famia Ruvignisa”, ribadendo l’importanza del lodevole rapporto di collaborazione che tutti assieme abbiamo saputo costruire negli ultimi decenni.
Trattasi di un “giorno” che noi tutti, esuli e rimasti, non ricordiamo soltanto una volta all'anno, ma che viviamo quotidianamente, nell'intimità dei nostri affetti e delle nostre famiglie, anche se sparse in giro per il mondo, con la dignità e la forza che ha da sempre contraddistinto le nostre genti
Vogliamo tutti assieme guardare al futuro, nella speranza che la nostra storia possa servire da monito e possa far riflettere sui valori fondamentali dell'umanità.

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Articoli correlati:
Il lungo esodo, il quadro storico

Il confine italo-sloveno


Mario Bonifacio, partigiano ed esule

lunedì 12 febbraio 2018

Memoria e Ricordo 2018, 1



Una coincidenza voluta







Tutti i nostri testimoni di quest'anno, sia del giorno della Memoria che di quello del Ricordo, sono istriani, nati in una terra in cui molti abitanti, in meno di 50 anni, hanno cambiato tre  nazionalità: quella asburgica, poi l'italiana e infine quella iugoslava, senza contare i periodi sotto il terzo reich, durante l'occupazione del Litorale Adriatico.  
Non è stato un caso, ma una scelta precisa, finalizzata alla comprensione della complessità di vicende apparentemente slegate ma in realtà unite da un comune denominatore: i nazionalismi e i totalitarismi del secolo breve.

Ma andiamo con ordine.

Il 2 febbraio, davanti ad un pubblico silenzioso, ma attivo, come si è visto alla fine dalle domande, Oleg Mandic ha raccontato ai cittadini di Rubano la sua storia di sopravvissuto ad Auschwitz. Lo stesso aveva fatto la sera precedente con gli studenti e i cittadini di Padova, riuniti al Centro culturale san Gaetano e  in due importanti scuole del territorio:











Oleg Mandic non è di religione ebraica, ma è bene ricordare che la macchina di sterminio ideata dall'imbianchino di Braunau am Inn ha colpito non solo gli ebrei (sei milioni) ma anche i rom, i sinti, gli omosessuali, i testimoni di Geova, i preti cattolici dissidenti, gli avversari politici, i portatori di handicap, la popolazione civile inerme. Agghiaccianti i numeri  raccolti dallo United States Holocaust Memorial:

Oleg Mandic avrebbe potuto essere tra il milione e mezzo calcolato tra i dissidenti politici, in quanto nipote e figlio di resistenti croati.
Circostanze fortuite e la presenza della madre nello stesso campo, ci hanno reso possibile incontrare un Mandic, ancora lucido e combattivo, portatore di una testimonianza dura e crudele, ma mai intrisa di desiderio di vendetta e di odio. Diversi cittadini presenti mi hanno manifestato il loro stato d'animo al termine dell'incontro: era di serenità dopo le nobili parole di Oleg contro l'odio e la sua straordinaria affermazione di avere avuto una vita bella e piena.
Sicuramente ascoltare da pochi metri di distanza un testimone diretto aiuta a comprendere meglio: alla conoscenza della storia attraverso i libri e i documenti si aggiungono le ragioni del cuore, le indefinibili vibrazioni provocate dalla calma, positiva saggezza di Oleg. Ma non basta. In un triste periodo in cui riemergono dalle fogne della storia simboli, ideologie atteggiamenti e soprattutto azioni già viste in un passato non sufficientemente conosciuto e condannato, è necessario porsi qualche domanda e iniziare ad prendere posizioni nette e, se necessario, ad agire:
Ma settantacinque anni fa io mi sarei chiesto come mai scomparivano i miei compagni di scuola? Avrei saputo non girare le spalle al compagno ebreo? Avrei aiutato qualcuno a fuggire? Avrei avuto il coraggio di nasconderlo? Mi sarei rifiutato di essere il macchinista di un treno del binario 21? E se fossi nato tedesco, avrei saputo oppormi alla “bestia umana”?

Facciamolo, altrimenti i nostri figli e i nostri nipoti un giorno ci chiederanno anch'essi:

’ma tu da che parte stavi?” “Da che parte stavi quando sono cominciate a ricomparire le svastiche sui muri?”, “Da che parte stavi quando le teste rasate picchiavano per strada i ragazzi omosessuali?”, “Da che parte stavi quando le croci uncinate sono ricomparse, riempiendole, le nostre piazze?”, “Da che parte stavi quando rabbino era il sinonimo di tirchio e tutti sorridevano?”, “Da che parte stavi quando i miei compagni rom scomparivano dalla classe perché il loro campo era stato sgomberato?”, “Da che parti stavi quando lo zio di Mohamed affogava in mezzo al Mediterraneo?”, “Da che parte stavi quando mal vestiti in centinaia attraversavamo le Alpi per raggiungere la Francia dall’Italia?”, “Papà, ma tu da che parte stavi?”. (Tratto da W. Beccaro).

i chiesto come mai scomparivano i miei compagni di scuola? Avrei saputo non girare le spalle al compagno ebreo? Avrei aiutato qualcuno a fuggire? Avrei avuto il coraggio di nasconderlo? Mi sarei rifiutato di essere il macchinista di un treno del binario 21? E se fossi nato tedesco, avrei saputo oppormi alla “b