mercoledì 29 ottobre 2014

L'altro sport, Mestrino 7 Novembre 2014




Lo sport protagonista di due incontri a Mestrino, nel mese di novembre, uno sport diverso da quello che tutti conoscono, quello della televisione, degli stadi affollati e dei milioni di euro che girano vorticosamente.

Lo sport che salirà alla ribalta è "l'altro sport", quello lontano dai riflettori, dagli interessi economici, dalla violenza contrabbandata per passione sportiva: è lo sport di chi lotta contro se stesso, per migliorarsi, per superare un deficit, per dare un senso alla propria vita o semplicemente per divertirsi.

Limitandoci alla  prima serata, quella del 7 novembre, ben 8 atleti del mondo paralimpico, di fama e risultati internazionali, saranno testimonial della propria specialità e testimoni soprattutto della propria esperienza di vita. Una lezione di entusiasmo, di coraggio e di volontà di rinascere: tutti, infatti sono stati segnati da un trauma violento o da una malattia, che ha mutato irreversibilmente il loro modo di vivere, infliggendo ferite e deficit a prima vista insormontabili. Non così per loro! Una lezione di vita, di ottimismo e di volontà per tutti i giovani.

Concluderà la serata una stella di prima grandezza, nonostante la
giovanissima età: Beatrice Bebe Vio. Bebe ha molto da comunicare e da insegnare ai suoi coetanei: sarebbe un peccato perdersi la sua straripante dialettica e la sua straordinaria ed entusiastica  testimonianza di coraggio e di volontà.








Per saperne di più: Il movimento sportivo disabili



venerdì 17 ottobre 2014

Beatrice Bebe Vio







Chi è Beatrice "Bebe" Vio














Il 7 novembre Beatrice "Bebe" Vio sarà l'ospite d'onore della serata organizzata a Mestrino dall'Associazione Storia e Vita sul tema dell' "altro sport".
Sarà circondata da altri grandi campioni, che hanno sconfitto i propri limiti, giungendo ai massimi livelli mondiali nello sport, ma sarà sicuramente lei ad attirare, più di ogni altro, l'attenzione e il cuore degli spettatori. Infatti a 17 anni  è un vulcano, che dà  il massimo in tutte le sue passioni: il disegno, gli Scout, la scherma e...la vita.
Vediamo assieme chi é Bebe.

La storia che voglio raccontarvi è la storia di Beatrice Vio, che tutti chiamano Bebe. E' una ragazza di 15 anni, bellissima, meravigliosa, una principessa. La vita le ha presentato un conto veramente troppo caro. La sua storia parte con una malattia, sembrava un'influenza. Ma non era un'influenza, era una malattia importante. Quella meningite le ha portato via le mani, le ha portato via i piedi; I segni di quella malattia ce li ha ancora sul volto, ma lei s'è rialzata immediatamente, ha subito reagito, ha subito affrontato la vita, ha voluto fare subito le cose che faceva poco prima. Viene definito un "piccolo Carro Armato Biondo"; Bebe è veramente un carro armato, non c'è niente che la può fermare. 

Bebe si rialza e affronta la vita così, in modo fortissimo. Non si fa spaventare da niente, nemmeno da quei 104 lunghi giorni in ospedale. 104 giorni duri, durissimi da superare, fisicamente e psicologicamente. Ma i Vio ne sono usciti, perché hanno reagito da vera famiglia. 

La forza di Bebe, l'unione che lega mamma Teresa con papà Ruggero ed i fratelli Nicolò e Maria Sole che hanno dato il massimo, facendo ciò che potevano, navigando in questa storia spaventati. Tutti abbiamo pianto, tanto. Una storia così ti strappa il cuore. Bebe ci ha dato un grande insegnamento: la vita è un fatto talmente straordinario che va affrontato, costi quel che costi. Non importa come ma va affrontato, questa è la lezione. 

Bebe è stata la protagonista di "Invincibili", programma di Italia 1 condotto da Marco Berry. Anche noi siamo qui, componenti di una grande famiglia che prende Bebe come esempio di vita e di sport, perché in ogni suo gesto, in ogni sua parola, ci sorprende sempre e mette in mostra la sua grande forza. 
Vogliamo accompagnare Bebe verso uno dei suoi
obiettivi più importanti: il nostro carro armato è una giovane promessa della scherma e un giorno sogna di poter tirare in piedi.
 (da Beatrice Vio Official Page)


Ultimissime dalla pedana.
Dal 26 settembre 2014, Beatrice 'Bebe' Vio è la nuova Campionessa del Mondo under 17 di fioretto femminile paralimpico. L'azzurra, dopo aver conquistato il titolo europeo "tra i grandi" a Strasburgo, ha conquistato il titolo iridato giovanile nella prima giornata del lungo fine settimana di scherma paralimpica conclusasi di recente  a Varsavia. 

martedì 14 ottobre 2014

Il movimento paralimpico


Chi vince gli altri è forte; chi vince se stesso è potente. 




Il 7 e il 21 novembre, l'Associazione Storia e Vita sarà nuovamente presente a Mestrino, per raccontare attraverso la viva voce dei protagonisti, tantissime storie di coraggio e di superamento di ogni inimmaginabile ostacolo fisico e psicologico.


 Il 7 novembre ascolteremo le storie degli atleti che al di là delle vittorie ai più alti livelli nazionali e internazionali, hanno ottenuto la vittoria più grande e più ambita: quella su se stessi e sulle proprie difficoltà.
Saranno con noi atleti paralimpici del calibro di Alex Zanardi, Bebe Vio,  Alvise De Vidi e tanti altri minori ma non meno coraggiosi.

Il 21 novembre, invece, toccherà agli eroi anonimi degli sport che rimangono lontani dalle luci dei riflettori, i cosiddetti "sport minori";  così incontreremo Ryszard Zub (ct Nazionale italiana di scherma), Eloisa Passaro (Nazionale scherma Italiana), Andrea Moretti (allenatore del Petrarca rugby) e l'olimpionico di casa nostra, Maurizio Milanetto.

Per chi volesse approfondire la genesi e gli sviluppi attuali del movimento sportivo disabili, segue una preziosa cronistoria scritta da Remo Breda, ex vicepresidente del Comitato Paralimpico Italiano. 





Il movimento sportivo disabili

Il movimento sportivo disabili nasce in Inghilterra alla fine della Prima Guerra Mondiale, come metodo di riabilitazione fisica e psicofisica per i reduci che avevano subito delle menomazioni.
Tuttavia il vero, grande sviluppo dello sport disabili si ha negli Stati Uniti alla fine della guerra del Vietnam.

Le origini del movimento paralimpico (*) risalgono, invece, al 28 luglio 1948, quando Sir Ludwig Guttmann, neurologo britannico e fondatore nel 1944, a Stoke Mandeville, di un ospedale per la cura delle lesioni al midollo spinale, decide di organizzare, in concomitanza con i Giochi Olimpici di Londra, i primi Giochi di Stoke Mandeville, una competizione per Veterani disabili della Seconda Guerra Mondiale.

Quattro anni più tardi, nel 1952 si tengono a Stoke Mandeville i Giochi Internazionali su sedia a rotelle e nel 1960, a Roma, terminati i Giochi Olimpici, hanno luogo i primi Giochi Paralimpici, cui partecipano 400 atleti provenienti da 23 nazioni con gare previste per soli atleti in carrozzina.
Nelle successive edizioni i Giochi si allargano ai disabili motori e ai disabili visivi.
Nel 1989 a Düsseldorf in Germania, si costituisce l’attuale IPC (International Paralympic Committee) omologo del CIO.

(*) Il termine Para olimpiadi deriva dal greco para, che indica somiglianza o affinità, e dalla parola Olimpiadi, a significare Olimpiadi parallele o complementari.


Storia del movimento paralimpico in Italia

Se il movimento paralimpico internazionale deve la sua nascita al neurochirurgo inglese Sir Ludwig Guttmann, il “Padre” dello Sport Terapia e del paralimpismo in Italia è stato invece il dottor Antonio Maglio.
Senza il suo lavoro, e la sua totale dedizione, che durò dal 1935 anno di conseguimento della laurea in medicina e chirurgia all’Università di Bari fino al giorno della sua scomparsa avvenuta a Roma il 7 gennaio del 1988, Roma e l’Italia non avrebbero avuto il privilegio di aver dato i natali ai Giochi Paralimpici estivi, senza contare che migliaia di persone disabili in Italia devono alle sue intuizioni il prolungamento delle loro aspettative di vita e il reinserimento nella società civile.
Egli è stato realmente l’ideatore ed il propugnatore della prima Olimpiade per atleti paraplegici. In Italia erano i primi Anni ’50 e, purtroppo, imperava una scarsa Cultura in materia di handicap che attanagliava le persone comuni in opprimenti pregiudizi spesso conseguenza di confinamento e di rifiuto della persona disabile. Ma Antonio Maglio impresse una nuova concezione della disabilità attuando, seguendo le esperienze di paesi più evoluti quali la Germania e l’Inghilterra, nuove metodologie terapeutiche per i pazienti neurolesi.
Le risultanze dei suoi nuovi metodi furono immediatamente positive: riduzione del tasso di mortalità e attenuazione degli stati depressivi dei soggetti che ebbero la fortuna di essere compresi tra gli ospiti del Centro Paraplegici di Ostia “Villa Marina” che aprì i battenti nel giugno del 1957 per volere dell’Inail di cui Antonio Maglio fu vicedirettore nonché primario del Centro che, presto, divenne famoso in tutto il Paese e all’estero. Egli fece esattamente quello che Ludwig Guttmann praticava a Stoke Mandeville ma ampliò notevolmente i programmi moltiplicando le attività fisiche attraverso numerose discipline sportive e utilizzando lo spirito agonistico quale sprone a reagire e ritrovare se stessi e le proprie abilità: nuoto, pallacanestro, tennistavolo, getto del peso, lancio del giavellotto, tiro con l’arco, scherma e corsa in carrozzina.
L’Inail finanziò da subito la pratica sportiva dei paraplegici, tanto che nel 1964 l’Italia partecipò con due rappresentative di atleti di cui una sotto la sigla dello stesso Inail (l’altra sotto quella dell’Onig, Opera nazionale invalidi di guerra) sebbene uniti dal tricolore. Dal confronto con le altre Nazioni ai Giochi Paralimpici di Tokyo 1964 (ancora però si chiamavano Giochi internazionali di Stoke Mandeville) emerse l’arretratezza del nostro movimento rispetto a Paesi come Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Spagna, Olanda e Germania rappresentate da una Federazione o Comitato nazionale paralimpico riconosciuto dal relativo Comitato Olimpico e, in altri casi, con finanziamento e sostegno diretto da parte dello Stato. Fino al  1972 era ancora il Centro Inail di Ostia a finanziare e potenziare lo sport dei paraplegici e quando la gestione dello stesso passò all’Ente Ospedaliero regionale si rischiò addirittura di non partecipare ai Giochi di Heidelberg ’72 per mancanza di fondi.
Solo nel 1974 si arrivò alla costituzione dell’Associazione Nazionale per lo sport dei paraplegici (Anspi) per promuovere, sviluppare e disciplinare lo sport di questi atleti quale strumento di recupero e quale mezzo di salute cominciando così ad affacciarsi un’accezione di sport quale diritto per tutti i cittadini disabili. Si partecipò così, per la prima volta, ai Campionati Europei di atletica leggera (Vienna 1977) e a quelli di basket in carrozzina (Olanda 1977).
Fu un primo passo, ma le esigenze divennero molteplici, gli impegni nazionali e internazionali si moltiplicarono in fretta come pure la domanda di sport da parte delle persone con altre tipologie di handicap. Per tutti gli anni ’70, poi, la Fisha (Federazione italiana sport handicappati), che fino al 1978 agì come Anspi, operò nel tentativo di stabilire un rapporto solido e chiaro con il Comitato Olimpico Nazionale.
Il 1981 vide poi a Roma una grande manifestazione di atletica leggera, scherma, nuoto e pallacanestro e, allo Stadio dei Marmi, divenne storica l’impresa del canadese Arnie Boldt che, nel salto in alto, saltò con una sola gamba la misura eccezionale di 2 metri e 4 centimetri. Fu lo stesso Boldt a rappresentare tutti i disabili al Giubileo degli Sportivi celebrato da Papa Giovanni Paolo II allo Stadio Olimpico in Roma.
Nello stesso anno la Fisha ottenne l’adesione al Coni, compiendo il primo significativo passo verso il riconoscimento dell’attività sportiva svolta dalle persone con disabilità. Sei anni dopo, nel 1987, il Comitato Olimpico decretò il riconoscimento giuridico della Fisha ed il suo ingresso nell’olimpo delle Federazioni Sportive Nazionali. Il Presidente della Fisha (che estendeva la sua competenza anche in materia di disabilità mentale) entrò, così, di diritto nel governo dello sport nazionale rappresentando anche la Fics (Federazione Italiana Ciechi Sportivi) e la Fssi (Federazione Sportiva Silenziosi Italiana).

La costituzione della FISD (Federazione Italiana Sport Disabili) avvenne il 18 novembre del 1990, risultante dall’unificazione volontaria delle tre federazioni sportive competenti in materia di handicap: Fisha, Fics e Fssi. E’ in questo contesto che gli atleti con disabilità intellettiva e relazionale ricevono pari dignità e considerazione alla stregua dei loro “colleghi” con disabilità fisica e sensoriale.
Nel 1996 però il movimento sportivo dei Silenziosi si scorporò dalla Fisd, in quanto il Ciss (Comitato Internazionale Sport Silenziosi) non aderisce ai principi ed ai programmi Olimpici e Paralimpici.

E' con Legge dello Stato che la FISD diventa CIP (Comitato Italiano Paralimpico), assumendo compiti e prerogative, nonché veste organizzativa, analoghi al CONI.
La legge istitutiva del Comitato Italiano Paralimpico (Legge n°  189 del 15 luglio 2003) ed il successivo decreto di attuazione (Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’8 aprile 2004) hanno attribuito al Cip compiti di preparazione delle squadre agonistiche impegnate a partecipare ai Campionati e alle manifestazioni del calendario internazionale predisposto dall’International Paralympic Committee. Hanno riconosciuto, inoltre, la valenza sociale dell’organismo che mira a garantire il diritto allo sport in tutte le sue espressioni “promuovendo la massima diffusione della pratica sportiva per disabili in ogni fascia di età e di popolazione” affinché ciascun disabile abbia l’opportunità di migliorare il proprio benessere e di trovare una giusta dimensione  nel vivere civile proprio attraverso lo sport quale strumento di recupero, di crescita culturale e fisica nonché di educazione dell’individuo, disabile o meno.

Attualmente il CIP è strutturato in sette Federazioni Paralimpiche (che si occupano delle discipline prettamente specifiche per disabili), mentre molte altri sport, praticati anche dai normodotati, sono stati dati in gestione alle Federazioni Olimpiche.
Il CIP ha stipulato anche numerosi protocolli d’intesa con Enti di promozione sportiva, con Gruppi Sportivi delle Forze Armate e col Ministero dell’Istruzione per iniziative mirate alla promozione dell’attività motoria nella scuola a favore degli alunni disabili.

Remo Breda, membro della Giunta nazionale del CIP

martedì 7 ottobre 2014

Storia e Vita - Tutti gli eventi del 2014


      
    Storia e Vita 
       Stagione 2014









Nel solo anno 2014, l'Associazione Storia e Vita ha già realizzato 7 incontri tra Mestrino, Padova e Rubano. Concluderà la stagione a novembre con due incontri, dal titolo "L'altro sport", dedicati alle testimonianze degli olimpionici degli  sport per disabili e degli sport "minori".

















sabato 4 ottobre 2014

Il testamento biologico





Un pericoloso vuoto normativo











La serata di Rubano con Beppino Englaro e i professori Benciolini e Palermo, oltre a chiarire tutti gli aspetti e i recentissimi sviluppi della vicenda di Eluana Englaro, ha fornito interessantissimi spunti sulle procedure, le aperture e le possibili condivisioni delle scelte, già possibili da adesso, a normativa vigente.
E' ormai definitivamente consolidato il principio della condivisione e della libera scelta da parte dei malati in grado di interagire, come per altro previsto dall'art. 32 della Costituzione.

Era e rimane aperto il problema delle disposizioni anticipate di fine vita, la cui applicazione normativa viene richiesta da più parti come logico e conseguente corollario dell'evoluzione recente della giurisprudenza, dei codici di deontologia medica, della Convenzione di Oviedo (ancora colpevolmente non recepita dall'Italia) e del comune sentire della maggioranza della popolazione italiana.

Siamo di fronte a un vuoto normativo prolungato e preoccupante; i politici non possono più non decidere, continuando per altro a lamentarsi dei progressi e dell'evoluzione della giurisdizione, che sempre più spesso, nei casi concreti della vita, è chiamata a fare opera di supplenza.

La dichiarazione anticipata di trattamento, comunemente definita testamento biologico, non è attualmente prevista dal sistema legislativo italiano.

L'ultima traccia di un impegno innovatore in tal senso si ha nella scorsa legislatura dove è stato approvato dalla Camera un DDL in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. Dopo il ritorno al Senato, per la seconda lettura, se ne sono perse le tracce... 

Ma già quel disegno di legge, evidentemente frutto di arzigogolati e anticipatori compromessi, contiene, a fianco di assai evolute enunciazioni, alcuni elementi "oscurantisti" come ad esempio il comma 4 dell'art. 3 che prescrive tassativamente che "la nutrizione e l'idratazione artificiale devono essere mantenute sino alla fine della vita e non possono essere oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento."
E' evidente come in questo passaggio si riversa tutta la forza impietosa del pregiudizio ideologico e della prevaricazione di un credo religioso, per altro vacillante, sul diritto positivo.
La questione dell'idratazione e della nutrizione artificiale è tabù solo per i nostri politici; infatti la scienza medica le ha chiaramente e definitivamente identificate come terapia, Vedi: Documento SINPE, società italiana di nutrizione parenterale ed enterale.

Se la nutrizione parenterale è una terapia medica, logica e diritto vogliono che come tale possa essere legittimamente rifiutata, come per altro hanno sostenuto, argomentando, tutte le ultime sentenze sul caso Englaro, inclusa quella del Consiglio di Stato del 3 settembre scorso, che stigmatizza l'operato del Formigoni.

Per concludere, come assicurarsi attualmente che le proprie volontà siano rispettate anche in condizioni future di inabilità e di incoscienza, 
coerentemente con il fatto che in Italia ogni trattamento sanitario deve essere preceduto da consenso informato dell’interessato? 

L'unica via attualmente è quello di mettere letteralmente nero su bianco le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, quando si è ancora nel pieno delle proprie facoltà, avendo chiare tutte le conseguenze delle proprie decisioni.
Viene così ufficializzata la propria volontà su quello sul  “fine vita”. 
I cosiddetti testamenti biologici permettono di esprimersi,  rispetto alla volontà che siano effettuati o meno trattamenti sanitari in caso di perdita di coscienza permanente e irreversibile, ma anche in merito al trapianto ed espianto di organi e tessuti, e sulla questione della cremazione.

Il testamento biologico può essere rilasciato attraverso diverse modalità. La prima è la compilazione di un testo che va firmato in originale in più copie (una per il sottoscrivente, una per un familiare, e una preferibilmente sottoposta ad autentica notarile), che può anche essere depositato in copia anche a enti o associazioni che ci occupano della raccolta di testamenti biologici. 
La seconda è quella della delega ad un amministratore di sostegno; infine la terza è quella dei registri comunali per la raccolta di tali documenti. 
Le dichiarazioni anticipate di trattamento possono essere modificate o cancellate, su propria richiesta.
Tutto ciò è possibile solo in questi comuni.

E per concludere è d'obbligo una ciliegina all'italiana:  il testamento biologico non obbliga il medico a seguirne il contenuto, tuttavia può avere una valenza importante in caso di contenzioso giudiziario.


Per approfondire, due sintesi, brevi ma accurate, delle problematiche del fine vita:




mercoledì 1 ottobre 2014

Il caso Englaro: la sentenza del Consiglio di Stato












Il 3 settembre scorso è stata pubblicata la sentenza del Consiglio di Stato che mette fine alle incertezze sul caso Englaro, condannando definitivamente l'ex governatore della regione Lombardia, Formigoni, gaudente in privato, ma castigatissimo in pubblico.

In risposta alla sentenza, il ciellino su FB
sostiene che il Consiglio di Stato non può cambiare le leggi e che in Italia l'eutanasia non è legale. Finge di non sapere che il Consiglio di Stato lo ha condannato per un illecito amministrativo e per non avere applicato una sentenza della magistratura. 
La scivolata sull'eutanasia, inoltre, è pura, deliberata volgarità.



La sentenza, invece, costituisce una pietra miliare nella legislazione italiana. Infatti, sulla scorta delle posizioni della medicina ufficiale, sostiene che l'alimentazione e l'idratazione sono delle vere e proprie terapie e che quindi, come tali, possono essere legittimamente rifiutate dal paziente o come nel caso di Eluana Englaro, dal tutore.

E soprattutto,   dichiara illegittimo il rifiuto della regione Lombardia a mettere a disposizione una struttura per il distacco del sondino naso-gastrico che alimentava e idratava artificialmente Eluana. 


Ma le parole, più belle, che rimangono scritte sulla pietra nella giurisdizione italiana sono queste: 
 “Nessuna visione della malattia e della salute, nessuna concezione della sofferenza e, correlativamente, della cura, per quanto moralmente elevata o scientificamente accettata, può essere contrapposta o, addirittura, sovrapposta e comunque legittimamente opposta dallo Stato o dall'amministrazione sanitaria o da qualsivoglia altro soggetto pubblico o privato, in un ordinamento che ha nel principio personalistico il suo fondamento, alla cognizione che della propria sofferenza e, correlativamente, della propria cura ha il singolo malato.



(…) Non può dunque l’Amministrazione sanitaria sottrarsi al suo obbligo di curare il malato e di accettarne il ricovero, anche di quello che rifiuti un determinato trattamento sanitario nella consapevolezza della certa conseguente morte, adducendo una propria ed autoritativa visione della cura o della prestazione sanitaria che, in termini di necessaria beneficialità, contempli e consenta solo la prosecuzione della vita e non, invece, l’accettazione della morte da parte del consapevole paziente”.