mercoledì 25 febbraio 2015

Corso di scrittura, terzo livello

Inizia giovedì 5 marzo alle ore 20.45 la terza parte del corso di scrittura narrativa tenuto dal prof. Angelo Ferrarini.
Il corso ha come titolo: Viaggi, Sogni, Desideri. Raccontiamo in diretta della vita, rivestendo di parole le sembianze dell'esistenza. 
Per l'iscrizione a questo terzo e ultimo livello non è necessario aver partecipato ai corsi precedenti.
Per i costi e maggiori informazioni scrivere ad uno dei nostri indirizzi 
(paolomenallo@libero.it 
 storiaevita2015@gmail.com) 
 o telefonare al 340/2651480.




sabato 21 febbraio 2015

La pietra scartata, squarci di luce.



LA PIETRA SCARTATA
Squarci di luce. Vedere, sentire, toccare



Venerdì 27 febbraio 2015  ore 20.45
Teatro dell'Opsa, Via della Provvidenza_68 - Sarmeola di Rubano (PD)
Ingresso libero


Venerdì 27 febbraio alle ore 20.45 torna  LA PIETRA SCARTATA, una serata di immagini, musica e parole  al Teatro dell'Opsa di Sarmeola di Rubano a Padova.
Gli ospiti saranno MARIAPIA BONANATE,  giornalista e scrittrice eFELICE TAGLIAFERRI, scultore non vedente,  autore della scultura "Il Cristo RiVelato", e Giovanna Lubjan, musicista. Il Cristo RiVelato sarà esposto alla Chiesa dell’Opsa dal 18 febbraio al 22 marzo. 
Ogni anno La Pietra Scartata, giunta alla sua sesta edizione,  propone delle testimonianze di chi ha fatto la scelta di trasformare la propria debolezza o le proprie fragilità  in occasione di riscatto, di miglioramento di sé e, in definitiva, di rafforzamento della coesione attraverso la diffusione della solidarietà. Il tema di quest’anno  èSQUARCI DI LUCE. Vedere, sentire, toccare ed è strettamente legato alla storia dei due protagonisti.
MARIAPIA BONANATE da sei anni assiste in casa il marito colpito dalla sindrome di Locked-on, una forma di coma che al più consente un'ombra di coscienza e un minimo di comunicazione attraverso il battito delle ciglia. "All'inizio ho conosciuto la disperazione", scrive Mariapia nel volume Io sono qui (Mondadori 2012).  “Un giorno”, grazie anche alla riscoperta del Diario di Etty Hillesum , una ragazza olandese, morta ad Auschwitz nel 1943, “la disperazione ha cominciato a retrocedere di fronte alla percezione di un amore di un tipo nuovo, e fortissimo. È nata attorno a mio marito una sorta di comunità. E io ho cominciato a  vedere delle cose che prima non vedevo a cogliere lampi di luce nel buio della malattia”.

Accanto a Mariapia, FELICE TAGLIAFERRI. Da sempre impegnato con il suo lavoro e le sue opere per un'arte senza barriere, l'Artista è cieco dall’età di 14 anni ed è il primo scultore non vedente a dirigere una scuola d’arte plastica.  L'idea dell’Opera IL CRISTO RIVELATO una scultura in marmo che misura 180x80x50,  nasce  durante una visita di Felice Tagliaferri a Napoli, quando all'artista non venne consentito di toccare la celebre scultura di Giuseppe Sanmartino, esposta nella Cappella Sansevero. Tagliaferri, che da anni si batte affinché l'arte sia accessibile a tutti secondo le proprie possibilità,  ha perciò pensato di proporre una sua versione dell'opera che sia disponibile alla fruizione tattile. Il suo motto è DIVIETO DI NON TOCCARE.

La statua del Cristo Rivelato potrà essere visitata ogni giorno dal 18 febbraio al 22 marzo alla Chiesa dell’Opsa, Via della Provvidenza 68–Sarmeola di Rubano (PD) dalle 12.00 alle 15.00 dalle 17.30 alle 19.00.
Per visite di gruppo o per usufruire di una visita guidata, anche in un orario diverso, è necessaria la prenotazione al numero 340 7559467.

Sono previsti dei laboratori di scultura dal 22 al 26 febbraio con Felice Tagliaferri. 16 ore di laboratorio pratico-esperienziale per gruppi di max 20 persone. Orario: 9-13 /14-18. Sede: Opsa, Sarmeola di Rubano.
Destinatari:  Educatori, operatori,insegnanti, animatori, catechisti,volontari. I laboratori sono gratuiti.
INFORMAZIONI e ISCRIZIONI:  Marta Michelotto, 334669500  / area.educativa@operadellaprovvidenza.it


La serata è organizzata da
Atantemani, Fondazione Fontana onlus, Ufficio Diocesano di Pastorale della Missione, Opsa, Uildm Padova onlus,
in collaborazione con

Caritas, Fondazione I.R.P.E.A, Medici con l'Africa Cuamm, Diritti+Umani,  Centro Servizi Volontariato Padova, Associazione Amici di Don Giorgio, Ufficio Diocesano per l'Annuncio e la Catechesi, Un Attimo di Pace.
con il sostegno di ETRA S.p.a.




martedì 17 febbraio 2015

Vanzini a Mestrino, immagini


Enrico Vanzini: un uomo fuori dal comune


Vanzini accolto da don Sergio

Una breve presentazione






Katalin Gajdos al flauto
 e Luisa Favaro  alla tastiera






Il pubblico di tutte le età 



Sulle note di dona, dona




Roberto Brumat presenta Enrico Vanzini











Dopo la proiezione, un flusso inarrestabile di ricordi, emozioni...insegnamenti:






lunedì 16 febbraio 2015

Enrico Vanzini a Mestrino




Un uomo fuori dal comune














Poteva esserci mio padre, quasi suo coetaneo, al posto di Enrico Vanzini, colto dall'otto settembre in Grecia, spedito dai tedeschi in un campo di lavori forzati, fuggito, condannato a morte e poi inviato nel campo di sterminio di Dachau, da cui è tornato vivo.
Mio padre, invece, apparteneva ad un reggimento di universitari, dove, accanto a lui,  erano inquadrati molti figli di gerarchi fascisti: il suo reggimento fu mandato in giro per l'Italia per interminabili esercitazioni e addestramenti (per lo più lunghissime marce), evitando così la Grecia, l'Albania e soprattutto la Russia. 
L'otto settembre lo colse in fuga dalle truppe anglo americane, sbarcate a Gela il precedente 11 luglio. 
Due storie diverse, ma che avrebbero potuto facilmente intrecciarsi, se l'Italia, anche allora non fosse stata il paese delle raccomandazioni e dei favoritismi.
Tornando a Enrico Vanzini e al suo incontro con i cittadini di Mestrino,  grande la soddisfazione di aver visto ancora una volta un pubblico numerosissimo e dalla composizione molto varia, attento e  partecipe.  Gli sforzi dell'Associazione sono stati ampiamente ripagati e, soprattutto, è stato  smentito il cliché del paese dormiente e rassegnato.
Chi c'era ha vissuto momenti di emozione, di consapevolezza, ma anche di conforto, donati  da Vanzini, che, accompagnato (ma non sorretto!) da Roberto Brumat, ha dato una lezione di vita, di coraggio e  di fermezza semplice, ma determinata. Ha mostrato una fragilità che paradossalmente evocava forza ed energia vitale e non debolezza.
I credenti vi hanno visto anche una lezione di fede, io vi ho visto  la forza dell'umanità che si piega ma non si annulla.
A differenza di altri sopravvissuti e di quanto hanno scritto in numerosi altri sopravvissuti come Primo Levi, Vanzini, pur evocando anch'egli scenari apocalittici e inimmaginabili,  ha regalato al pubblico elementi di speranza. Ha infatti raccontato come tra gli orrori a cui ha assistito e partecipato suo malgrado, ogni tanto spuntassero dei fiori profumati  di fratellanza e di solidarietà umana, rarissimi in quei luoghi, ma in cui lui ha avuto l'inspiegabile fortuna di imbattersi. 
Particolarmente toccante il racconto  finale dell'anziana donna tedesca che tenta di passargli un pezzo di pane nero e per questo viene uccisa dalle SS: un pezzo di pane, racconta Vanzini, che vale più di una reliquia, rappresentando il corpo di un essere umano che si è sacrificato per un altro essere umano.
Parte non secondaria nella serata ha avuto la musica proposta da Katalin Gajdos e Luisa Favaro, come omaggio alla cultura e al popolo ebraico, principale destinatario dello sterminio.
Le parole di Dona Dona sono state la migliore introduzione alla serata: conoscere per non dimenticare, tenere collegati sensi e intelligenza per cogliere ogni elemento di rischi futuri, non illudersi di poter essere non responsabili di quanto ci accade intorno. 

mercoledì 11 febbraio 2015

martedì 10 febbraio 2015

La giornata del ricordo a Rubano, uno sguardo al futuro



No alla rimozione, si al superamento










Ricorre oggi per l'undicesima volta al giornata del ricordo, istituita con legge dello Stato nel marzo 2004 (legge 92 del 30/3/2004) 

L'associazione Storia e Vita ha onorato questa ricorrenza a Rubano, con una scelta coraggiosa, che guarda al presente e soprattutto al futuro, piuttosto che al passato.

Ha riunito infatti, intorno allo stesso tavolo un alto responsabile dell'ANPI veneto, un esule di Pola di origini italiane e una esule di origini istriane, responsabile di una importante associazione, che grande parte ha avuto nel tenere alta la memoria  della gravità dei fatti del dopoguerra e nell'ottenimento del riconoscimento legislativo.
Le motivazioni di questa scelta son molteplici:

  • La necessità, innanzitutto, di scrostare antiche, anche se ormai residuali, rimozioni collettive e di parte. La rimozione del dramma dell'Istria e della Dalmazia  è avvenuta per responsabilità di gran parte delle forze politiche italiane del dopoguerra. Una consistente motivazione di tale rimozione è l'assoluzione che gli italiani si sono autoconcessi sui crimini del fascismo. Non così è avvenuto in Germania, mentre in Italia il mito degli "italiani brava gente" e del fascismo buono, diverso dal nazismo, ha continuato per decenni ad inorgoglire grevemente un popolo dalla scarsa memoria e dalle scarse conoscenze.
  • La necessità di far conoscere, al di là delle microstorie individuali e delle sofferenze personali e familiari, che mai potranno essere cancellate o attenuate, il quadro storico, la genesi degli avvenimenti, le motivazioni che portarono all'uso selvaggio di violenze inaudite (le foibe). Superfluo precisare che motivare non è giustificare, come più volte hanno fatto i relatori, con in testa Italia Giacca.
  • La necessità di riproporre alla memoria gli abissi che la natura umana può raggiungere, spinta dall'odio e dal desiderio di vendetta. Ricordare, quindi, per prevenire. Poco importa che in questo caso sia toccato ad italiani, quando tutti nel dopoguerra si sono vendicati atrocemente a tutte le latitudini; noi guardiamo al futuro: solo la conoscenza storica, la cultura e il riconoscimento degli altri possono preservarci.   
  • La necessità, dopo 50 anni di rimozione e 70 di strumentalizzazioni reciproche, di riavviare un reciproco riconoscimento tra parti, sino a poco fa non comunicanti, e sottolineare un comune sentire, un  comune riconoscimento nelle parole della Costituzione e nelle comuni origini dell'identità nazionale, culturale e linguistica.
A me personalmente non è estraneo l'intento di trovare paralleli e analogie tra la nostra storia di migranti, in questo caso di esuli, e i drammi dei nuovi migranti e dei nuovi esuli ai quali assistiamo  quotidianamente.
Ogni seme gettato in questo campo sono sicuro che germoglierà piante vigorose, orgoglio dell'umanità e della nuova civiltà a cui dichiariamo, spesso solo a parole, di appartenere.

Mi piace concludere questo breve testo con le parole che Italia Giacca mi ha concesso: 
"ben si nota che da ogni lato ci sono polemiche e rancori; ma tirarli fuori significa già ascoltarsi e quindi fare un tratto di strada insieme. La strada è lunga, lo sappiamo, e anche tortuosa, ma mi sento di dire che noi abbiamo già fatto i primi passi: con Maurizio (Angelini) ci capiamo e già sento anche con te. Pur con vedute diverse, si può, se si è persone di buona volontà, parlarsi, ascoltarsi, confrontarsi, come abbiamo detto sin dall'inizio, rispettarsi e...andare avanti insieme!"

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Il quadro storico proposto dall'Associazione Venezia Giulia e Dalmazia  

La sintesi storica proposta da Maurizio Angelini 

Bibliografia

domenica 8 febbraio 2015

Sergio Endrigo, 1947


Omaggio a Pola









Come vorrei, essere un albero, che sa dove nasce e dove morirà...


Con il malinconico testo di Sergio Endrigo, che riassume in pochi versi l'amore per la propria terra, la nostalgia e il dolore dell'esodo si è aperta venerdì scorso la serata dedicata alla giornata del Ricordo. Endrigo appartiene alla generazione degli esuli bambini o adolescenti che pur dopo mille difficoltà iniziali hanno conosciuto un'altra vita, senza mai però perdere il legame profondo e indicibile col paese di origine.
Storia molto diversa per chi ha dovuto ricostruire una vita da adulto o da anziano, abbandonando per sempre luoghi, affetti, abitudini.  






Da quella volta non l’ho rivista più
Cosa sarà della mia città
Ho visto il mondo e mi domando se
Sarei lo stesso se fossi ancora là

Non so perché stasera penso a te
Strada fiorita della gioventù
Come vorrei essere un albero che sa
Dove nasce e dove morirà

È troppo tardi per ritornare ormai
Nessuno più mi riconoscerà
La sera è un sogno che non si avvera mai
Essere un altro e invece sono io

Da quella volta non ti ho trovato più
Strada fiorita della gioventù
Come vorrei essere un albero che sa
Dove nasce e dove morirà

Come vorrei essere un albero che sa
Dove nasce e dove morirà



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Bibliografia 


sabato 7 febbraio 2015

Il confine orientale: il quadro storico

Il contributo dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia


Durante l'incontro del 6 febbraio a Rubano, Italia Giacca presidente dell'ANVGD, ha portato il contributo storico della sua associazione, che riprende alcuni grandi temi, già trattati da  Maurizio Angelini, aggiungendo altri particolari relativi alla storia precedente alla prima guerra mondiale. 
Una versione più ampia di questo lavoro può essere reperita cliccando qui 














Il lungo esodo: il quadro storico




Rubano 6 febbraio: la sintesi storica di Maurizio Angelini







Affollato incontro a Rubano con Italia Giacca, Sergio Basalisco e Maurizio Angelini.  Piena la navata centrale dell'Auditorium, presenti molti esuli o loro figli a testimonianza di quanto il dramma di 70 anni fa sia stato e sia presente tra noi, spesso a nostra insaputa. 
A Maurizio Angelini va il merito di avere illustrato con pacatezza e ampia conoscenza delle fonti il quadro storico in cui si svolsero gli avvenimenti oggetto del confronto. 
Pubblichiamo oggi una sintesi del suo intervento. Nei giorni prossimi daremo conto degli interventi di Italia, di Sergio e del numeroso e attento pubblico.
Pubblicheremo, inoltre, un prezioso documento di sintesi prodotto dall'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, presieduta da Italia Giacca.

Ed ecco la sintesi di Angelini:
1) Innanzitutto una delimitazione  geografica del teatro degli avvenimenti: le città di Trieste e Gorizia, tutta l’Istria, Fiume e dintorni. Si tratta di territorio etnicamente assai composito: prima della Grande Guerra- grosso modo- metà Italiani e meta Sloveni e Croati. La divisione nazionale intreccia- naturalmente con tutte le eccezioni del caso- le divisioni e i contrasti sociali: città-campagna; borghesia-proletariato; proprietari terrieri-coloni. In linea di massima, con grandissima approssimazione, le classi economicamente, politicamente e culturalmente dominanti sono nazionalmente italiane; le classi dominate slovene e croate .
2) In una situazione così complessa l’approccio nazionalistico, che nega all’ altro dignità e autonomia, è di per sé foriero di odio, divisione e tensioni . Dal 1918 al 1943 il nazionalismo italiano è stato egemone e si fondava sulla falsa coscienza della superiorità latina ( e veneta) sulla barbarie slava. Un atteggiamento di tipo coloniale.
3) Il nazionalismo sloveno e croato è stato per tutto il periodo del fascismo un nazionalismo di difesa, di custodia delle tradizioni; alla caduta del fascismo è diventato un nazionalismo di rivalsa e di vendetta sociale e nazionale.
4) Durante il ventennio fascista le popolazioni slovene e croate incorporate nel Regno d’Italia con il Trattato di Rapallo ( circa 500.000 persone) hanno subito un trattamento che le ha discriminate, umiliate, perseguitate in quanto nazioni inferiori.  Sloveni e croati, rispetto a tutti gli altri cittadini italiani oppressi dalla dittatura fascista, subiscono un di più di oppressione ( e pagano, in proporzione, molto di più di tutti gli altri cittadini italiani, sia in termine di esodo che di carcerazione, confino, condanne a morte ecc. Vedi le statistiche del sistema giudiziario speciale). Anche sul piano dell’ opposizione al fascismo sloveni e croati “ italianizzati” danno proporzionalmente molto di più di quanto non abbiano dato gli altri cittadini italiani. Nell’ epoca del consenso diffuso al Fascismo  sloveni e croati fanno opposizione in modo assai radicalei ( ed è un loro grande merito).

venerdì 6 febbraio 2015

La musica nella tradizione ebraica.


L'incontro  organizzato da Storia e Vita a Rubano sulla Shoah  è stato introdotto da un breve concerto di musica klezmer non tanto per esorcizzare e alleggerire la gravità delle parole e dei racconti che sarebbero stati fatti quella sera, quanto piuttosto per rendere omaggio ad una cultura musicale a cui l'Europa e il mondo occidentale in generale è debitrice. Quella stessa cultura che una mano assassina voleva cancellare dalla faccia della terra, dimenticando che anche il tanto amato Wagner non avrebbe potuto esistere senza la spinta che la musica ebraica ha impresso a quella occidentale sin dal medioevo. Anche l'incontro dell'undici febbraio a Mestrino sarà introdotto da un concerto klezmer, questa volta più esteso. 


Ma vediamo, per sommi capi, come e perchè la musica è importante nel mondo ebraico e quale è stato il suo ruolo nello sviluppo della musica occidentale.

In realtà è il  suono che nel mondo ebraico, privo come vedremo di qualsiasi iconografia, ha un ruolo fondamentale: durante il Capodanno religioso ebraico si soffia nello Shofar per ricordare che la creazione del mondo fu annunciata dalla potente sonorità di un corno d'ariete. Ma tutto l'universo mistico e filosofico ebraico è intriso di rimandi alla preminenza del suono, della voce, del canto nel rapporto tra Dio e gli uomini.
Il suono è elemento fondante della liturgia che per molti secoli è stata l'unica forma d'arte ebraica. A questo proposito l'interpretazione musicologica tradizionale  spiega l'importanza che la cultura ebraica attribuisce alla musica attribuendola al divieto religioso di raffigurare immagini sacre, per evitare il rischio di idolatria. L'impossibilità di dedicarsi alle arti figurative, quindi,  avrebbe spinto gli ebrei a sviluppare il proprio genio artistico esclusivamente sulla musica. 
Ne consegue una fondamentale peculiarità nella concezione estetica della musica presso gli ebrei, che identifica il bello con ciò che è buono e giusto. La musica diviene così componente essenziale della preghiera e  di ogni momento comunitario rivolto a Dio.
Dice Enrico Fubini nella sua raccolta di saggi sulla musica nella tradizione ebraica: «Tutta la vita ebraica è scandita da ritmi ben precisi che ne costituiscono in qualche modo l'essenza, l'anima, il suo significato più profondo[...] e anche la musica è essenzialmente temporalità, memoria, ritmo[...] Tra la musica e l'ebraismo c'è un'affinità profonda che va al di là della vaga metafora! Si potrebbe affermare che tutto l'ebraismo, la sua stessa essenza è una musica, o meglio una forma di musica, o, in altre parole,  un tentativo di imporre una forma al tempo».
Fubini, quindi, ribalta l'interpretazione musicologica tradizionale: non è solo il divieto della figurazione, che ha indotto  i potenziali pittori a farsi musicisti, ma, la particolare relazione, tipica dell'ebraismo, con il tempo più che con lo spazio,  con i ritmi precisi che scandiscono la vita ebraica, con il dovere di ricordare, di interpretare e reinterpretare la Bibbia; e dunque con la musica, che del tempo è un'espressione.
Altra caratteristica della musica ebraica è il costante e ambivalente rapporto con le culture dei paesi della Diaspora. In continua tensione tra la spinta ad integrarsi nella cultura del paese che li ospitava e la necessità di mantenere in vita la propria identità, la musica degli ebrei si è posta sempre in relazione osmotica con l'ambiente esterno. Da una parte essa ha costituito una delle premesse della musica occidentale attraverso le sue influenze sulla primitiva liturgia cristiana e successivamente sul canto gregoriano, dall'altra, in particolare per quanto riguarda la musica profana, si è arricchita delle esperienze musicali dei diversi paesi che hanno accolto le comunità ebraiche.
La musica klezmer è la musica di uno dei due grandi filoni della diaspora ebraica, quello askenazita dell’est europeo.  Una storia molto diversa ha avuto la musica del mondo sefardita, che ha conservato la lingua spagnola e si è fortemente contaminata con le sonorità del mondo arabo e della musica rinascimentale europea. 
Tornando al  klezmer, la parola deriva dai termini ebraici kley e zemer (strumento  per il canto) e individua  la musica popolare prevalentemente strumentale degli ebrei dell’Europa orientale,  conservata ed elaborata a partire dal XVII secolo, a dispetto delle difficili condizioni materiali e spirituali sofferte da questo popolo per regolamenti e divieti di imperatori, papi e zar. 
Il folklore e le tradizioni musicali di Polonia, Romania, Russia e Ucraina vivono nel klezmer coniugate da espressività e religiosità tipicamente ebraiche. 
Il klezmer, musica profana, è tuttavia il prodotto di una società fortemente religiosa e trae la propria ispirazione dai rumori della strada come dal canto della sinagoga.
Bisognerà aspettare gli ultimi decenni dell'Ottocento per trovare nella musica klezmer e nella canzone yiddish, stilemi musicali e tematiche completamente laiche e mondane, capaci di dar voce alla protesta sociale e politica e ai sentimenti personali.
Momento cruciale nella storia del klezmer fu la massiccia emigrazione ebraica negli Stati Uniti fra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. A New York, primo approdo di circa tre milioni di ebrei, il klezmer conobbe una nuova vita grazie alla contemporanea nascita e affermazione dell’industria discografica. Ancora una volta il klezmer attinse all’universo sonoro del paese che l’aveva accolto, contaminandosi con il jazz. 

Bulgar from Odessa


Altri esempi di musica klezmer li potrete trovare in questo link