lunedì 16 febbraio 2015

Enrico Vanzini a Mestrino




Un uomo fuori dal comune














Poteva esserci mio padre, quasi suo coetaneo, al posto di Enrico Vanzini, colto dall'otto settembre in Grecia, spedito dai tedeschi in un campo di lavori forzati, fuggito, condannato a morte e poi inviato nel campo di sterminio di Dachau, da cui è tornato vivo.
Mio padre, invece, apparteneva ad un reggimento di universitari, dove, accanto a lui,  erano inquadrati molti figli di gerarchi fascisti: il suo reggimento fu mandato in giro per l'Italia per interminabili esercitazioni e addestramenti (per lo più lunghissime marce), evitando così la Grecia, l'Albania e soprattutto la Russia. 
L'otto settembre lo colse in fuga dalle truppe anglo americane, sbarcate a Gela il precedente 11 luglio. 
Due storie diverse, ma che avrebbero potuto facilmente intrecciarsi, se l'Italia, anche allora non fosse stata il paese delle raccomandazioni e dei favoritismi.
Tornando a Enrico Vanzini e al suo incontro con i cittadini di Mestrino,  grande la soddisfazione di aver visto ancora una volta un pubblico numerosissimo e dalla composizione molto varia, attento e  partecipe.  Gli sforzi dell'Associazione sono stati ampiamente ripagati e, soprattutto, è stato  smentito il cliché del paese dormiente e rassegnato.
Chi c'era ha vissuto momenti di emozione, di consapevolezza, ma anche di conforto, donati  da Vanzini, che, accompagnato (ma non sorretto!) da Roberto Brumat, ha dato una lezione di vita, di coraggio e  di fermezza semplice, ma determinata. Ha mostrato una fragilità che paradossalmente evocava forza ed energia vitale e non debolezza.
I credenti vi hanno visto anche una lezione di fede, io vi ho visto  la forza dell'umanità che si piega ma non si annulla.
A differenza di altri sopravvissuti e di quanto hanno scritto in numerosi altri sopravvissuti come Primo Levi, Vanzini, pur evocando anch'egli scenari apocalittici e inimmaginabili,  ha regalato al pubblico elementi di speranza. Ha infatti raccontato come tra gli orrori a cui ha assistito e partecipato suo malgrado, ogni tanto spuntassero dei fiori profumati  di fratellanza e di solidarietà umana, rarissimi in quei luoghi, ma in cui lui ha avuto l'inspiegabile fortuna di imbattersi. 
Particolarmente toccante il racconto  finale dell'anziana donna tedesca che tenta di passargli un pezzo di pane nero e per questo viene uccisa dalle SS: un pezzo di pane, racconta Vanzini, che vale più di una reliquia, rappresentando il corpo di un essere umano che si è sacrificato per un altro essere umano.
Parte non secondaria nella serata ha avuto la musica proposta da Katalin Gajdos e Luisa Favaro, come omaggio alla cultura e al popolo ebraico, principale destinatario dello sterminio.
Le parole di Dona Dona sono state la migliore introduzione alla serata: conoscere per non dimenticare, tenere collegati sensi e intelligenza per cogliere ogni elemento di rischi futuri, non illudersi di poter essere non responsabili di quanto ci accade intorno. 

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