domenica 19 novembre 2017

Francesco Malavolta all'Istituto Scalcerle


Una vita sui muri di terra e di mare



L'otto agosto del 1991 sbarcò a Bari la "la Nave dolce" con il suo carico di 20.000 albanesi, fuggiti da Durazzo in un solo giorno di entusiasmo, di voglia di vivere e di ordinaria follia. 
Dopo questo primo tentativo andato a vuoto (quasi tutti i migranti della nave dolce furono rimpatriati con la forza o con l'inganno)  gli sbarchi dall'Albania sulla costa pugliese si susseguirono per anni, in particolare verso Brindisi. Ed è proprio da questa città, allora vivace ed animata oggi spenta dal malgoverno, che iniziò la storia professionale da reporter delle migrazioni di Francesco Malavolta.
Francesco si trovava, infatti, a Brindisi, giovanissimo militare di leva, proprio nel periodo in cui gli arrivi erano quotidiani e osservava  i drammi e  le speranze dei migranti e la generosità dei brindisini. 
Fu allora che decise di dedicarsi allo studio e alla documentazione del fenomeno migratorio in ogni parte del mondo, con lo strumento che gli è proprio, cioè la fotografia.
Da allora, per terra e per mare, Malavolta si è trovato non solo a fotografare, ma anche a raccogliere testimonianze, storie personali, confessioni, speranze, gioie e tragedie di migliaia e migliaia di migranti. Ha partecipato di recente alle missioni "Mare Nostrum" e Triton ed è stato fotografo ufficiale dell'UNHCR sulle frontiere di terra dell'Europa orientale e di mare nelle isole greche.
Per lui è divenuta una missione, che tende ormai ad agire come una droga, ammette: non si può smettere di documentare, di tentare di far conoscere e di sbriciolare i muri di ignoranza (cioè di non conoscenza), prima che di filo spinato, che avvolgono il fenomeno delle migrazioni,  quelle interne e quelle tra paesi e continenti diversi. Come ha detto più volte: "quelle grida non si dimenticano mai.."
Con questo spirito, quello del missionario della conoscenza e della verità, ha incontrato ieri mattina gli studenti dello Scalcerle. Un incontro intensissimo, avviatosi sul "mantra" delle invasioni e sul tema delle fake news su migranti e  migrazioni, con  ripetuti inviti ad approfondire, a confrontare le fonti, a non fidarsi "dell'aria che tira". Poi il discorso  si è dipanato  in modo appassionato sulle immagini e sulle storie  e le verità che quelle immagini sottendono.



Ogni foto, a suo dire, non ritrae solo un attimo, non raffigura una felice intuizione, nè testimonia solamente la rapidità e l'esperienza dell'occhio che coglie, talvolta in modo poetico, l'essenza di una situazione, ma racconta una storia, una vita intera.

Così sotto gli occhi attenti e talvolta un po' lucidi di 250 studenti, silenziosi come non mai, sono sfilate le immagini dei salvataggi nel mar d'Africa, degli arrivi nei  porti italiani e a Lesbo, dei reticolati di Serbia, Croazia, Ungheria e Bulgaria, della stazione in disarmo di Belgrado, per sei mesi casa di centinaia di profughi abbandonati. Sono sfilate le immagini di bambini fuggiti dalla guerra dopo aver vissuto almeno cinque anni dello loro infanzia in fuga da un campo all'altro; un tema questo che si notava stare particolarmente a cuore a Francesco.


Gli studenti hanno ascoltato la storia dei due fidanzati che, ritrovatisi, si baciano teneramente dopo essersi persi durante il naufragio e poi, ma questo la foto non lo dice, svengono entrambi sfiniti dalla stanchezza. 
Sono sfilate sullo schermo le immagini in movimento di un salvataggio con la colonna sonora data dalla drammatica telefonata di aiuto partita da un gommone e diretta al centro di smistamento della Marina Italiana. 

I ragazzi hanno visto il video dei Coldplay che sponsorizzano il contestato Moas..e poi le molte domande, sintetiche e taglienti, che hanno messo a nudo l'anima dell'uomo prima che del fotografo.
Una mattinata intensa e significativa, più di mille lezioni di storia e di ogni possibile approfondimento sui numeri e i fenomeni sociali.