sabato 11 febbraio 2017

Giorno del Ricordo a Rubano, 2017


Prosecco, Trieste (1957)
Incontro con Mario Bonifacio, partigiano ed esule 







Avremo  veramente  elaborato  il  lutto   solo  quando  saremo  riusciti   a   comprendere i  dolori  e le speranze  di  tutte  le  vittime." (Walter Benjamin)


Chi volesse comprendere a fondo le vicende del confine orientale, prima di affrontare la corposa bibliografia sul tema, dovrebbe semplicemente visitare uno dei piccoli cimiteri delle località istriane della costa e dell'interno.
Vedrebbe così tombe completamente abbandonate con iscrizioni in italiano, tombe con nomi italiani, ma con scritte in croato e italiano, tombe con cognomi croati o sloveni, con scritte in italiano ed infine tantissime
tombe che racchiudono insieme cognomi italiani e  sloveno-croati; senza contare quelle con cognomi italiani e nomi in croato e viceversa. 
Se dovesse spingersi sino a Pisino, dove Mario Bonifacio, ha collocato la fine delle sue illusioni internazionaliste, si imbatterebbe in questa significativa lapide: 



Solo dopo aver compreso a fondo la realtà di una terra dal profondo intreccio multietnico e multilinguistico potrà affrontare la storia dei disastri generati in queste terre dalle ideologie del secolo breve.
Di queste tragedie Mario Bonifacio ha raccontato una parte fondamentale, perchè vissuta dall'interno e da un'angolazione del tutto particolare. 
Lucidità nei ricordi personali e nell'analisi storica, delusione e preoccupazione per il futuro: questi gli aspetti a mio parere più rilevanti nella relazione di Mario Bonifacio.

Inevitabili, stante le mille complicazioni emotive e le mille storie diverse,  malintesi, contestazioni ancorchè preparate a tavolino, precisazioni, ricostruzioni e interpretazioni diverse.
Quindi un ampio e appassionato dibattito ieri sera a Rubano, come nelle nostre aspettative. Forse avrebbe potuto essere gestito meglio nei tempi  e nei modi, forse si sarebbe dovuta togliere la parola a qualcuno e dare più ampio spazio al relatore ufficiale, che pazientemente non si è sottratto alle più o meno larvate contestazioni ed ha risposto a tutto con pazienza. 
Ma in occasioni simili stante le inevitabili passioni che il tema ancora suscita, forse è stato meglio che tutti potessero dare voce al proprio vissuto, anche se togliendo spazio e continuità alla relazione. 
Uno degli scopi di questi incontri, infatti, è anche quello di dare spazio al dolore, al non detto, affinché possa finalmente essere superato e condotto ad una sintesi condivisa. 
Certamente  impossibile inquadrare in un unicum mille storie familiari e personali diverse, ferite ancora sanguinanti o lutti elaborati. L'esodo del '45 dei fascisti fuggitivi e delle loro famiglie, sotto l'incubo della vendetta è stato diverso da quello dei polesani del '48 e da quello degli istriani della zona A del '54. Così come può essere stato diverso il trattamento riservato ai regnicoli o agli autoctoni, così come è stato diverso da paese a paese, forse anche in relazione alla diversità delle relazioni interpersonali precedenti o semplicemente alle caratteristiche dei leader e capipopolo locali.
Mario ha raccontato con lealtà la sua esperienza, senza nulla tacere nè della politica fascista, delle stragi  e delle violenze italiane nè delle successive violenze slave.
Ha raccontato delle impossibili condizioni economiche di una terra abituata a fare riferimento per tutto a Trieste, quando questa fu definitivamente collocata al di là di un confine invalicabile. Ma soprattutto ha raccontato il repentino virare del comunismo iugoslavo verso il nazionalismo. 
Così in lui al dramma dell'esodo dalla terra amata si è aggiunto  quello dell'internazionalista deluso, che dopo aver subito due dittature, quella fascista e quella nazista, non ha voluto conoscere la terza..
















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